Nel 2015, Microsoft guardava al mare con ottimismo: il progetto Natick prometteva una rivoluzione silenziosa nel mondo dell’infrastruttura digitale. Un data center immerso negli abissi, sigillato, stabile, efficiente e naturalmente raffreddato. Il test al largo delle isole Orcadi in Scozia, con 864 server operativi, confermò le aspettative: dopo due anni, il tasso di guasto risultava otto volte inferiore rispetto a quello dei tradizionali centri dati a terra. Eppure, nel 2024, l’azienda ha deciso di chiudere il progetto. Nessun rilancio, nessuna espansione. Solo un addio silenzioso, nonostante i dati incoraggianti.
Dall’altra parte del mondo, però, la Cina sembra aver raccolto il testimone. Al largo di Hainan, nel Mar Cinese Meridionale, il primo data center sottomarino commerciale è già realtà. E adesso si evolve: 400 nuovi server sono stati installati in un modulo modulare di nuova generazione, in grado di elaborare 7.000 richieste AI al secondo. A guidare il progetto è HiCloud, una divisione di Highlander. Qui non si tratta solo di innovazione, ma di una risposta concreta a un problema globale: il crescente fabbisogno energetico dell’intelligenza artificiale e del cloud computing.
Meno energia, più raffreddamento: il mare come risorsa strategica
Oggi i data center consumano enormi quantità di energia e acqua. Secondo l’International Energy Agency, nel 2024 queste strutture hanno assorbito 415 TWh, pari all’1,5% del consumo elettrico globale. Ma le previsioni sono ancora più preoccupanti: entro il 2028, solo negli Stati Uniti, si potrebbero toccare i 580 TWh all’anno. L’intelligenza artificiale, con i suoi modelli sempre più esigenti, è tra i principali responsabili di questo incremento.
In questo contesto, i data center sottomarini offrono vantaggi immediati: il mare funge da refrigerante naturale ed elimina la necessità di impianti HVAC ad alto consumo. Inoltre, l’ambiente sigillato e remoto garantisce una maggiore sicurezza fisica, rendendo le strutture meno esposte ad attacchi o sabotaggi.
Tuttavia, ci sono limiti evidenti: la manutenzione è complicata e costosa, l’accesso limitato e la logistica più complessa. Per questo, l’approccio cinese punta su una modularità scalabile, in cui ogni unità è autonoma e progettata per funzionare senza interventi frequenti. Un equilibrio delicato, tra efficienza, sostenibilità e costi.
Un’infrastruttura sommersa per un’intelligenza sempre più affamata
Il mare non è solo un luogo da esplorare, ma una risorsa infrastrutturale concreta. Se Microsoft ha scelto di fermarsi, forse per motivi strategici o economici, la Cina invece investe e costruisce. Non si tratta più di un esperimento, ma di un modello in fase di implementazione reale, pronto a rispondere alla crescita esponenziale dell’AI.
La direzione è chiara: servono soluzioni nuove per sfide nuove. E i data center subacquei, con tutti i loro limiti, potrebbero diventare una componente chiave dell’ecosistema digitale globale. Non saranno per tutti, ma dove il fabbisogno energetico è alto e lo spazio è limitato, potrebbero rappresentare la scelta più logica e sostenibile.