Per chi lavora al computer dieci, dodici ore al giorno, l’attrezzatura non è un dettaglio: è ambiente di lavoro, strumento, corpo. Lo impari a tue spese quando qualcosa si rompe, o quando comincia a far male.
Tra gli strumenti quotidiani di chi svolge un banalissimo lavoro da scrivania, il mouse è quello con cui il corpo instaura un rapporto più diretto e costante. Non lo si impugna soltanto: lo si stringe, lo si accompagna, lo si trascina per ore in quello che diventa un automatismo naturale della mano. E se da anni usi un dispositivo in particolare, finisci quasi per dimenticarti che esistano alternative.
Nel mio caso, quel dispositivo era il Logitech MX Master 3S, che utilizzo praticamente da quando è uscito, nel maggio 2022. È un mouse straordinario: preciso, veloce, solido, con una rotella elettromagnetica che scorre come burro e click silenziosi (sì, i tradizionali click da mouse sono qui un sordo, appena percettibile, rumorino di sottofondo). Non è un prodotto economico, ma è uno di quegli investimenti del tutto giustificati.
Quando il gesto abituale smette di funzionare
Tutto bellissimo, fino al giorno in cui ho cominciato a sentire un fastidio al polso. Niente di grave all’inizio: una tensione, una sciocca rigidità. Poi però è diventata una presenza costante, una fitta che tornava sempre, durante e dopo la giornata di lavoro. I sintomi erano compatibili con una possibile sindrome del tunnel carpale, o comunque con un sovraccarico da uso prolungato. Dopotutto è una situazione davvero comune, come conferma anche una revisione pubblicata sul Journal of Occupational Health, secondo cui le patologie da sforzo ripetitivo colpiscono tra il 10% e il 20% dei lavoratori che utilizzano il computer in modo intensivo.
Il passaggio al verticale

Anziché aspettare una diagnosi, ho deciso di cambiare subito abitudini e intervenire sull’oggetto più a contatto col mio corpo durante la giornata: il mouse. E ho scelto di passare a un modello radicalmente diverso, indicato proprio a chi vive questo tipo di problemi: l’MX Vertical, sempre di Logitech.
Ammetto che all'inizio non è stato semplice: guardandolo, questo strano mouse "verticale" con i tasti laterali sembra più un oggetto ergonomico da clinica che un mouse per come siamo abituato a intenderlo. Impugnarlo richiede una gestualità diversa, una nuova postura, ed è normale provare una certa dose di scetticismo all'inizio, anche perché la primissima impressione è di non avere più il pieno controllo, di muoversi con un attimo di incertezza e lentezza, come se il corpo dovesse riapprendere un’abitudine consolidata ormai da anni.
Ma bastano pochi giorni per abituarsi e, quando succede, la vecchia postura comincia a sembrare paradossalmente innaturale. Con il passare dei giorni, il dolore si è attenuato, i movimenti sono diventati più immediati, e quella che inizialmente sembrava una scomodità temporanea diventa una nuova normalità.
La postura prima della prestazione

Dal punto di vista tecnico, bisogna dirlo, l’MX Vertical è meno prestante del Master 3S. Il sensore si ferma a 4000 DPI (più che sufficienti per un uso professionale, ma meno raffinati in ambito creativo) e la rotella non ha la fluidità del fratello maggiore. E poi, torna il caro, "vecchio" click: il mouse verticale non ha la discrezione del Master 3S e, se si è abituati al comfort ovattato dei tasti silenziosi, tornare al click classico può risultare fastidioso. Ecco, forse questo è l’unico vero difetto che ho riscontrato dopo settimane di utilizzo.
Il resto funziona: l’autonomia è ottima, la connessione è stabile, la sensazione sotto le dita è piacevole. Ma soprattutto, il mouse non è più fonte di dolore. Non so se resterò per sempre su un modello verticale. Forse un giorno tornerò al Master, magari a una sua evoluzione più ergonomica. O forse no, perché rieducare la mano - e il polso - alle gestualità pregresse non è sempre dovuto. A maggior ragione se i benefici in termine di benessere si notano sin da subito. E fanno il loro lavoro.