A Martorell, piccolo comune alle porte di Barcellona, la transizione all’elettrico non è (solo) una data fissata sul calendario, al netto delle recentissime revisioni UE, ma una linea di montaggio che si è già spostata. Lo stabilimento Seat, grande quanto 400 campi da calcio, è il terzo impianto del gruppo Volkswagen in Europa e da solo produce circa un quarto delle auto assemblate in Spagna: dal 1993 ad oggi, sono usciti dalle sue linee 13 milioni di veicoli di 45 modelli diversi.
Per arrivare fin qui, il gruppo ha messo sul tavolo 10 miliardi di euro per l’elettrificazione in Spagna, di cui 3 miliardi concentrati sulla sola Martorell. Nella fabbrica, un gigante silenzioso che guarda il mare da lontano, lavorano 13.300 dipendenti su tre linee con una capacità massima di più di 2.500 auto al giorno e 75.000 metri quadrati riconvertiti alla produzione di veicoli elettrici, sostenuti da un piano di formazione che ha già totalizzato centinaia di migliaia di ore su tecnologie ad alta tensione e processi digitali. E nella sola carrozzeria, 360 robot lavorano in un reparto automatizzato al 92%, in grado di sfornare un body ogni 51 secondi, controllato da sistemi di visione che scattano circa 2.000 foto a ciascuna scocca.
La nuova fabbrica di assemblaggio di batterie
Il motore dell'intero ingranaggio, però, sono le batterie. Il giorno della nostra visita al sito è stato inaugurato il nuovo impianto per l’assemblaggio dei sistemi batteria, una fabbrica nella fabbrica che occupa 64.000 metri quadrati ed è costato 300 milioni di euro, co-finanziati attraverso il programma spagnolo Perte Vec (il grande programma di aiuti pubblici con cui il governo spagnolo, usando i fondi del Piano di ripresa europeo, sta finanziando l’intera filiera dell’auto elettrica). Costruito in poco più di due anni, il centro può assemblare un pacco batteria ogni 45 secondi, per un totale di 1.200 pack al giorno e fino a 300.000 l’anno. Non proprio bruscoletti, insomma.
Dal 2026 l’impianto fornirà in esclusiva le linee delle piccole elettriche del gruppo, ovvero la Cupra Raval e Volkswagen ID. Polo, collegato all’assemblaggio veicoli da un ponte automatizzato lungo 600 metri che sposta le batterie direttamente sotto le scocche in produzione.

In tandem con Navarra
Della Electric Urban Car Family, la nuova famiglia di quattro piccole BEV del gruppo tedesco, si parla da tempo, ma è tra queste e altre mura spagnole che prenderà forma: oltre a Raval e ID. Polo a Martorell, la Skoda Epiq e la Volkswagen ID. Cross saranno prodotte nello stabilimento "fratello", quello di Navarra. L’obiettivo dichiarato è arrivare, a regime, a 800.000 elettriche compatte all’anno tra i due siti, di cui fino a 300.000 BEV a Martorell su una capacità complessiva di 600.000 vetture annue.
Per quanto riguarda l'aspetto tecnologico, Martorell diventa così uno dei nodi della strategia batterie del gruppo: qui verranno assemblati i sistemi MEB+ con “unified cell”, la cella standardizzata che Volkswagen vuole usare come piattaforma comune per marchi e segmenti, anche in variante LFP per abbassare i costi. Le celle oggi arrivano dalla Germania, ma un domani dovrebbero essere fornite dalla gigafactory PowerCo di Sagunto, in un tentativo di accorciare la catena di fornitura europea delle batterie.
E si guarda anche a una maggior sostenibilità ambientale: sul tetto del nuovo edificio, 11.000 pannelli fotovoltaici coprono fino al 70% del fabbisogno elettrico del processo di assemblaggio, affiancati da un sistema di raccolta dell’acqua piovana (grande quanto tre piscine olimpioniche) che riduce l’impatto idrico dell’impianto.

Le revisioni europee
Tutto questo si fa largo in un contesto un po’ meno lineare. Proprio mentre Martorell si attrezza per produrre centinaia di migliaia di BEV l’anno, Bruxelles ha ritoccato la traiettoria al 2035: non più lo stop secco al 100% dei nuovi motori a combustione, ma un obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni medie rispetto al 2021, lasciando una piccola finestra a ibride e modelli termici che potranno restare sul mercato oltre quella data, a certe condizioni. Una mossa letta con un respiro di sollievo dall’industria e da Paesi come Germania e Italia, e come un alleggerimento degli obiettivi climatici da parte di associazioni ambientaliste e osservatori del settore.
Eppure, insomma, Volkswagen gioca d'anticipo rispetto a questo compromesso, concentrando nello stesso sito scocche, sistemi batteria e produzione di piccole BEV, con una capacità che ha senso solo se l’Europa riuscirà davvero a rendere accessibili e desiderabili le sue citycar elettriche. I tre miliardi investiti qui mostrano che i costruttori hanno già spostato una parte consistente della propria industria sull’elettrico, mentre il nodo vero, tra nuove regole europee, infrastrutture e scelte dei consumatori, resta ancora tutto da sciogliere fuori dai cancelli della fabbrica.