L’Italia è uno dei paesi più dipendenti dalle importazioni di energia elettrica in Europa. Per ridurre le emissioni di CO2 e garantire la sicurezza energetica, si cerca di sviluppare fonti rinnovabili ma anche alternative come il nucleare. Ma dopo il referendum del 1987 che ha sancito l’uscita dal nucleare civile, è possibile tornare a produrre energia atomica nel nostro paese?
La risposta potrebbe essere sì, grazie a una nuova tecnologia: i piccoli reattori nucleari modulari (SMR). Si tratta di impianti compatti e prefabbricati che possono essere installati ovunque e generare fino a 300 MW di potenza, sufficienti per alimentare circa 250 mila famiglie.
Questa innovazione ha suscitato l’interesse di grandi aziende energetiche come Ansaldo, Edf ed Edison, che hanno firmato un accordo per verificare le potenzialità degli SMR in Italia e in Europa. Il loro obiettivo è riaprire il dibattito sul nucleare in un continente che vuole ridurre la dipendenza dal gas russo e raggiungere la neutralità climatica entro il 2050.
Gli SMR sono considerati più sicuri, meno costosi e più versatili dei tradizionali reattori nucleari. Tuttavia, presentano anche delle sfide e dei rischi: producono scorie radioattive che devono essere smaltite adeguatamente, richiedono elevati standard di sicurezza per prevenire incidenti o attacchi terroristici, sono soggetti a una forte opposizione pubblica da parte di chi teme gli effetti nocivi del nucleare sull’ambiente e sulla salute.
Il mini nucleare è davvero la soluzione per l’Italia? La domanda rimane aperta e richiede una discussione approfondita tra esperti, politici e cittadini. Solo così si potrà decidere se vale la pena investire in questa tecnologia o se ci sono altre opzioni più convenienti ed ecologiche.