Da lontano sembra solo un terminale di scarico un po’ strano, montato al posto del classico tubo cromato. Da vicino è più simile a un piccolo acquario: un cilindro trasparente pieno d’acqua, illuminato dall’interno, con microalghe che fluttuano mentre l’auto è in moto. L’idea è brutale nella sua semplicità: usare proprio lo scarico, uno dei simboli dell’inquinamento, per provare a trattenere una parte della CO₂ che produciamo.
L'idea di due giovanissimi
Nel 2024 le emissioni globali di anidride carbonica da combustibili fossili hanno toccato un nuovo record, 37,8 miliardi di tonnellate. Circa un quarto arriva dai trasporti e la parte più consistente è dovuta ai veicoli su strada. Anche se le auto elettriche e ibride crescono, in Europa e in Italia il parco circolante resterà ancora per anni popolato dai motori a combustione. Ma come si riduce l’impatto dei motori che resteranno in strada ancora per anni? La risposta di due studenti della Pennsylvania, Rohan Kapoor e Jack Reichert, si chiama GoGreen Filter ed è un filtro "vivo” da applicare al terminale di scarico.
Si tratta di un piccolo bioreattore in cui convivono acqua, luce artificiale e microalghe (in alcuni casi descritte come alghe marine). Quando i gas di scarico attraversano il cilindro, le alghe assorbono CO₂ tramite fotosintesi e rilasciano ossigeno. In teoria, una parte dell’anidride carbonica viene catturata prima che finisca in atmosfera.
Ma funziona davvero?
Sul sito ufficiale e nelle interviste riprese dalla stampa di settore, l'omonima startup a capo del progetto dichiara risultati molto spinti: fino al 74,25% di riduzione della CO₂ allo scarico rispetto a un veicolo senza filtro e, su scala globale, un potenziale di 5,4 miliardi di tonnellate di CO₂ evitate ogni anno, pari a circa il 75% delle emissioni del trasporto su strada. Sono dati che colpiscono ma che invitano alla cautela, essendo dichiarazioni della società non verificate da enti indipendenti.
Anche perché parliamo ancora di un prototipo, che non è omologato, non è in vendita e non esistono studi indipendenti, pubblicati su riviste scientifiche, che ne confermino le prestazioni in condizioni reali di guida. Le prove citate sono test interni su piccole flotte, ad esempio alcune moto in Indonesia, ma non sappiamo come il sistema si comporti nel tempo su modelli diversi di auto, in climi differenti, con cicli di guida fatti di traffico, autostrada, partenze a freddo.
Ci sono poi tutte le incognite pratiche. Un filtro pieno di organismi viventi va gestito: le alghe crescono, vanno controllate e sostituite. E il sistema richiede energia per l’illuminazione interna, l’aumento di contropressione allo scarico può incidere su consumi e prestazioni, servono poi procedure di manutenzione e regole chiare per il fine vita del materiale biologico. Insomma, difficile immaginare GoGreen Filter su larga scala. Oggi come oggi suona più come un dispositivo ingegnoso, frutto della creatività di due giovani studenti, che una soluzione pronta per l’industria automobilistica.
Se i numeri promessi non saranno confermati da dati indipendenti e se costi, gestione e manutenzione non verranno riportati a un livello compatibile con le priorità delle case, il rischio è che resti un’idea sì interessante, utile a tenere acceso il dibattito su come ridurre l’impatto dei motori termici che abbiamo già, ma non una tecnologia destinata davvero a cambiarne il destino.